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Il welfare aziendale può essere definito come quell’insieme di servizi e dispositivi in denaro progettati per accrescere il benessere personale, lavorativo e familiare dei dipendenti che, se erogati in risposta a bisogni reali dei lavoratori, riescono ad influire positivamente sul benessere organizzativo e sulla produttività dell’impresa. Tali prestazioni si distinguono da altri benefit aziendali (come i cosiddetti flexible benefit) per due ragioni: a) sono strutturate in modo da influire positivamente sul generale benessere dell’individuo, aiutandolo a soddisfare un bisogno primario; b) sono dirette alla totalità dei dipendenti e non esclusivamente a una o più categorie.

In generale, gli interventi di welfare aziendale possono spaziare dal sostegno al reddito familiare, allo studio e alla genitorialità fino alla tutela della salute, dalla previdenza complementare a interventi per la facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma comprendere anche misure per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale.

 

Negli ultimi anni, soprattutto a causa delle contingenze economiche e sociodemografiche del nostro Paese, queste e altre misure annoverabili nell’ambito del work-life balance hanno assunto una particolare importanza. Tali prestazioni – che hanno lo scopo di alleggerire i carichi di cura del lavoratore e della lavoratrice e, inoltre, di fornire una soluzione alla scarsa offerta di servizi dedicati a bambini e anziani – si dividono in tre sottocategorie corrispondenti alla natura del benefit offerto: denaro, servizi e tempo.

 

Con “denaro” si intendono tutti gli strumenti di sostegno al reddito familiare che prevedono l’erogazione monetaria (come per esempio i rimborsi delle spese scolastiche o del costo dei libri di testo); i “servizi” sono, invece, tutte quelle prestazioni realizzate dall’azienda per il sostegno alla genitorialità e alla famiglia (come asili nido aziendali e interaziendali, sportelli informativi e di consulenza psicologica, sanitaria o legale, ecc.); mentre il “tempo” riguarda tutti quegli strumenti che consentono una maggiore flessibilità nell’organizzazione dei tempi di lavoro e personali. Possono così essere annoverate sotto la definizione di welfare aziendale anche quelle forme di flessibilità oraria e smart working che hanno come scopo quello di facilitare l’articolazione dei tempi personali e lavorativi: si fa in particolare riferimento a interventi quali il part-time, la flessibilità oraria in entrata e uscita, il job sharing, la banca delle ore, il telelavoro e i congedi parentali che si vanno a sommare a quelli previsti dalla legge.

 

Oltre alla dimensione relativa al benessere dell’individuo, il welfare aziendale può produrre effetti positivi anche in termini organizzativi e produttivi. In primo luogo, un piano di welfare adeguatamente strutturato e comunicato all’interno e all’esterno permette di migliorare l’immagine pubblica e la credibilità dell’impresa. Inoltre, può accrescere la capacità di attrarre e trattenere la forza lavoro più qualificata, in particolare i giovani. Se realizzato tenendo conto dei reali bisogni, un progetto di welfare può incrementare il livello di soddisfazione dei lavoratori e, quindi, migliorare nel complesso il clima aziendale. Questo, a sua volta, ha una ricaduta positiva su tutta l’organizzazione, in quanto può portare ad una riduzione dei tassi di assenteismo, del turnover, dei ritardi, e a un aumento del senso di attaccamento, della fidelizzazione e della produttività del dipendente. Infine, consente di ridurre le spese aziendali permettendo il contenimento di varie voci di costo.

 

Il welfare aziendale può costituire, dunque, ciò che gli economisti chiamano una situazione o gioco win win, dove cioè tutte le parti coinvolte ottengono un vantaggio:

  • L’imprenditore può detassare i premi erogati in ambito welfare; registra una crescita della soddisfazione e produttività in azienda; ottiene maggiore fedeltà dai suoi collaboratori e può perfino attrarre, più facilmente, giovani talenti.
  • I lavoratori ottengono benefici maggiormente legati alla loro qualità della vita, ai quali spesso non potrebbero accedere singolarmente; benefici che, anche in reddito reale, valgono ben di più del premio in denaro, soggetto a progressiva tassazione.
  • Lo Stato (che opportunamente incentiva fiscalmente le aziende) spende meno per il welfare, grazie all’integrazione dell’attività delle imprese sul territorio e, per sommatoria, a livello nazionale.
  • Le Istituzioni locali possono utilizzare al meglio e mettere a disposizione eventuali infrastrutture per l’erogazione di servizi legati al welfare.
  • Le Associazioni dei diversi stakeholder possono, anche in quest’ambito, svolgere un ruolo di rappresentanza degli interessi dei loro associati e prevederne l’aggregazione al fine di usufruire di servizi comuni di welfare più efficienti.

AREE DEL WELFARE E CRITERI DI CLASSIFICAZIONE

Il Welfare Index PMI – Rapporto 2019, contenente una mole d’informazioni molto importante e statisticamente significativa, ha individuato 12 aree in cui si classifica generalmente il welfare aziendale.

Come si può notare, le aree di intervento sono molteplici e ormai vanno a toccare qualsiasi necessità del lavoratore, a dimostrazione del fatto che il welfare pubblico da solo non riesca per niente a soddisfare le necessità dei lavoratori. In realtà non esiste una classificazione unica ed esaustiva di tutti i beni e servizi offerti nei piani di welfare privato, ma sfruttando le varie classificazioni proposte e utilizzando diversi criteri di raggruppamento, nel “Primo rapporto CENSIS-EUDAIAMON sul welfare aziendale” si è riusciti a dar vita ad una prima classificazione.

 

La classificazione fa riferimento a due grandi criteri, che sono:

  • Tipologia di destinatari, distinguendo l’area persona e l’area famiglia. La prima fa principalmente riferimento a tre tipologie di servizi: le iniziative di supporto al reddito e di cost-saving, le cosiddette attività di time-saving e benefits, quali, la previdenza complementare e servizi legati alla salute e al benessere. Strettamente legata a questa classificazione è la creazione di altre due aree di intervento che operano trasversalmente rispetto alle precedenti. Queste sono l’area del work life balance, ovvero quelle iniziative rivolte alla conciliazione tra vita e lavoro e l’area di servizi di supporto al reddito.
  • Contenuto delle prestazioni offerte, con l’individuazione di circa 6 macro aree, così raggruppate: a) cost saving, cioè tutte le iniziative di supporto al reddito (buoni pasto, convenzioni per libri scolastici, convenzioni con assicurazioni e banche); b) time saving, cioè le iniziative che consentono di risparmiare tempo (mensa aziendale, servizi di trasporto); c) work life balance, ovvero conciliazione vita lavoro; d) people care, ovvero i servizi per i familiari (minori e giovani e anziani non autosufficienti); e) wellness, che comprende servizi dalle campagne di prevenzione, passando per sportelli medici fino a palestra e relax; f) professional development, ossia servizi volti allo sviluppo professionale e alla formazione.

 

Concepito in questo modo, il welfare aziendale ha acquisito un nuovo e più ampio significato: uno strumento per rafforzare la sostenibilità dell’impresa occupandosi del benessere e della sicurezza sociale dei lavoratori e delle loro famiglie. Una leva di politica del personale, certamente, ma di rilievo strategico perché permette di gestire il ruolo sociale dell’impresa, non solo nei confronti della comunità aziendale ma anche all’esterno di essa.

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