Negli ultimi giorni abbiamo visto il nostro Paese diviso in colori poco rassicuranti (non è stato usato il verde e, per quanto simbolico, è comunque un messaggio chiaramente indicativo) e cangianti, con la consapevolezza che stiamo andando incontro ad un periodo molto difficile, probabilmente anche più del famigerato lockdown primaverile.

La crisi sanitaria, pur diffusa, sembra attualmente meno ingestibile di quella della prima ondata (ma abbassare ancora un po' la guardia la renderebbe plausibilmente drammatica) mentre quella economica appare molto più critica e devastante, anche perché rischia di abbattere definitivamente quelli che erano già stati duramente colpiti, e di distruggere i piccoli passi di chi si stava rialzando! La cosa che preoccupa, in quest'ottica, è la sensazione che il Governo stia gestendo l'impatto economico con una visione miope e senza programmazione.

 

Tralasciando i discorsi politici (non è questo nè il luogo nè il momento), ciò che preme è far prendere coscienza che, in un contesto globale e intrecciato come quello attuale, pensare che i "ristori" debbano riguardare solo le attività chiuse e le zone di maggiore criticità è un ragionamento insufficiente e inadeguato.

Premesso che, in questo periodo, qualunque tipo di supporto all'attività imprenditoriale è da intendersi positivo, è importante comprendere che la chiusura di "un codice ATECO" non impatta solo sull'azienda chiusa, ma anche su tutta la filiera e l'indotto ad essa collegata. Ad esempio, se chiudono i cinema, il danno è per tutta una catena di soggetti: la ditta che fornisce i pop-corn, l'azienda di pulizia, i consulenti che manutengono l'infrastruttura tecnologica, probabilmente i consulenti di marketing o pubblicitari, ecc. Se il cinema è all'interno di un distretto, poi, tutto l'insieme di servizi che traevano guadagno dalla sua vicinanza ne viene colpito: basta pensare alle ludoteche/baby parking o alle cartolerie, ma anche a qualsiasi negozio che si ritrova drasticamente ridotta la platea di clientela a disposizione.

 

Discorso analogo, chiaramente, va fatto per le scuole chiuse: non è solo un problema di congedi e smart working! Se un genitore deve stare a casa con i figli, inevitabilmente, perde una quota di produttività che può danneggiare economicamente se stesso e le aziende per cui lavora. 

E' chiaro che la situazione non è nè facile nè di rapida soluzione ma, probabilmente, bisognerebbe porre l'attenzione non sul problema contingente ma sul contesto globale, stimolando la crescita e non limitandosi a tamponare (peraltro in maniera insufficiente) l'emergenza. Servirebbe un piano che stimoli investimenti e assunzioni, favorendo la formazione del personale più che la cassa integrazione, finanziando l'utilizzo di soluzioni innovative e la digitalizzazione delle imprese e delle famiglie.

 

Si è parlato spesso di nuovo Piano Marshall, non serve ambire a tanto, ma la ripresa passa necessariamente da un incremento dei consumi e delle spese, il cui impatto sia ridotto su chi li sostiene. E' chiaro che si tratterebbe di un costo per lo Stato, ma questo sarebbe parzialmente recuperato dal maggiore gettito fiscale da parte di chi, grazie a questo rilancio, avrebbe una maggiore produttività.

Precisiamo: oggi è giusto dare priorità alla gestione della crisi sanitaria, ma trascurare il reale danno economico del Paese potrebbe generare, tra qualche mese, problemi enormi, forse persino più drammatici di quelli causati direttamente dal Covid.

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