31/10/2025
Fabio Setta
Tra dubbio e percezione, chi controlla la realtà?
Guardiamo un video, ascoltiamo una voce, ammiriamo una foto. Oggi è ancora possibile, ma tra poco il dubbio sarà sempre più legittimo e sempre più complicato sarà rispondere alla domanda: quello che vedo è esiste davvero o è stato generato? Per secoli, la distinzione tra vero e falso si basava su prove tangibili, su testimonianze affidabili e sulla fiducia, più o meno fragile, nelle istituzioni che mediavano l'informazione.
Negli ultimi anni, la linea che separa ciò che è reale da ciò che è generato si è fatta sempre più sottile. Le immagini create da un algoritmo, le voci sintetiche indistinguibili da quelle umane, gli ambienti virtuali immersivi: con le nuove tecnologie c’è il concreto rischio di trasformare la percezione in un territorio tanto scivoloso quanto manipolabile. La realtà, in parte oggi, ma lo sarà sempre di più, non è qualcosa che si vive ma un qualcosa che si costruisce e che si programma, non su una classica agenda o sul calendario ma a computer. L’intelligenza artificiale generativa ha compiuto, in tal senso, il passo decisivo, rendendo creazione del falso banalmente accessibile a chiunque. Con pochi prompt si può inventare un volto, una notizia, un luogo.
Stiamo entrando nell’epoca della realtà sintetica, dove la verità non dipende più da ciò che accade, ma da ciò che viene mostrato? Sembra di sì e lo stesso concetto di realtà sintetica quale nuovo orizzonte in cui l’intelligenza artificiale diventa architetto della percezione, appare confermarlo.
L’AI non si limita a riprodurre il mondo ma lo reinventa, con una credibilità tale da rendere la distinzione tra verità e simulazione sempre più sfumata. La credibilità di un’informazione, di un video o di una testimonianza non risiede più nella fonte, ma nella qualità dell’illusione. Il tutto genera poi un evidente paradosso: più diventiamo capaci di simulare la realtà, meno riusciamo a fidarci di essa.
Accanto all’AI c’è poi la realtà virtuale che offrirà l’illusione perfetta di essere “dentro” qualcosa che non esiste. Due tecnologie diverse, ma convergenti: una plasma i contenuti, l’altra plasma la percezione ma insieme ridisegnano i confini dell’esperienza umana.
Se le piattaforme che gestiscono questi mondi dettano le regole di interazione, di economia e persino di identità (attraverso gli avatar), allora chi controlla la tecnologia controlla le coordinate del vivere sociale. Le nuove tecnologie quindi sempre di più andranno a modellare i parametri di ciò che possiamo vedere, sentire, provare e credere, controllando la narrazione collettiva e influenzando la capacità di percezione. Il controllo si sposta dalla manipolazione dei fatti alla modellazione dell'esperienza.
La domanda di fondo è una: chi controlla questi strumenti, controlla la nostra idea di realtà?
E poi, siamo davvero destinati ad essere degli automi controllati e indirizzati da un potere tecnologico nelle mani di pochi che sovrasterà tutto e tutti? Diventeremo tutti “schiavi” delle aziende Big Tech? La soluzione c’è. Non si tratta di rifiutare in toto le nuove tecnologie, ma diventerà sempre più importante riappropriarsi del proprio potere percettivo, analizzare criticamente i contenuti, comprendere il meccanismo con cui ci raggiungono e, soprattutto, allenare il nostro spirito critico. La nostra realtà è mediata tanto da ciò che è, quanto da ciò che siamo disposti ad accettare. Sicuramente ci sono delle leggi e ce ne saranno altre che tuteleranno i cittadini e gli utenti, quando magari il danno sarà stato già fatto ma il primo passo deve partire da ciascuno di noi, ritrovando autonomia cognitiva, riscoprendo il valore del dubbio per arrivare alla verità. Senza farsi anestetizzare dall’algoritmo di turno, perché la verità in futuro sarà una scelta e non più un dato oggettivo.